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 Escursione alla Grotta del Diavolo o Grotta di Mezzogiorno del 13 marzo 2011 ::
 
  Sabato, 02 Aprile 2011 - 17:32 :: 97134 Letture

Il resoconto della escursione compiuta il 13 marzo u.s.  (continua)

E’ una nuvolosa giornata invernale, la pioggia incombe, cerchiamo di contattare uno del gruppo; manca, lo ritroveremo più avanti*. La collina è sempre verdeggiante, come le montagne circostanti e degrada verso una ampia pianura ricca di corsi d’acqua. Siamo in appennino centro meridionale, in lontananza si  scorgono delle chiazze bianche, stavolta di neve, non è strano. Gli inverni sono da noi piuttosto rigidi e non è difficile trovare sulla parte alta dei rilievi chiazze di neve sino a tarda primavera.

E’ il 13 marzo 2011 ed iniziamo a ripercorrere a ritroso nel tempo la nostra storia. Novelli Benjamin Button, ci inerpichiamo per la moderna S.P.331 in direzione Castello del Matese, attraversando in un colpo solo duemilacinquecento anni di storia. La moderna cittadina di Piedimonte Matese è sotto di noi, sulla parte alta il borgo medioevale. Sul Cila i poligonali dei Pentri rievocano il ricordo della Allifae sannitica. Attraversiamo l’abitato di Castello del Matese ed anche qui ai piedi della torre risalta la stratificazione sannitica (del basamento), medievale (della parte superiore e delle torri), indi gli abitati della nostra contemporaneità (articolo intero)

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Commenti
N° 2010 - giuseppe ha scritto::
Ago-’18
16

EVENTI NADRO DI CETO 19 AGO “Dalla pelle alla tela – La filiera della tessitura” Visita guidata, attività didattiche e approfondimenti sul tema 19 agosto 2018 Nadro di Ceto (Bs) – Museo della Riserva Naturale Incisioni Rupestri Info: Tel. 0364.433465 www.arterupestre.it Fonte Archeologia VIva
N° 2014 - giuseppe ha scritto::
Ago-’18
24

AMAZZONIA,DRONE SCOPRE UNA TRIBU' ISOLATA isolata dell'Amazzonia, in Brasi- le,vicino al confine con il Perù.Le im- magini,registrate un anno fa,sono state pubblicate adesso dalla Brazil's Natio- nal Indian Foundation (FUNAI). Il gruppo, di cui non è stata identifi- cata l'origine etnica, vive vicino al fiume Jutai e Juruazinho, una regione dove sono stati individuati almeno 11 popoli indigeni isolati,ma si stima che ce ne siano altri. Il drone ha rilevato la presenza di ca- se, piantagioni, attrezzi e canoe.Alme- no 16 individui fanno parte del gruppo. Fonte Rai
N° 2015 - giuseppe ha scritto::
Ago-’18
25

INCROCIO NEANDERTAL E DENISOVIANO L'incrocio tra specie diverse era più frequente di quanto si pensasse. Quando sono emersi i primi risultati, la paleogenetista Viviane Slon non riusciva a credere ai suoi occhi. “Che cosa è andato storto?”, si era chiesta al tempo. E subito le sue attenzioni si erano rivolte alle analisi: aveva commesso un errore? È possibile che il campione fosse contaminato? I dati evidenziavano che il frammento di osso di 90mila anni fa analizzato dalla studiosa apparteneva a un’adolescente che aveva una madre Neandertal e un padre Denisova. I ricercatori avevano a lungo ipotizzato che queste due specie di antichi parenti degli esseri umani si fossero incrociate, grazie al ritrovamento di tracce dei loro geni nei genomi umani antichi e attuali. Ma nessuno aveva mai trovato un discendente diretto frutto della loro unione. Slon, assegnista di ricerca al Max Planck Institute di Lipsia, ha effettuato il campionamento su un’altra porzione di osso, ottenendo il medesimo risultato. Così ha riprovato ancora. Dopo aver eseguito analisi su un totale di sei campioni, il risultato era sempre lo stesso: il Dna dell’osso era riconducibile a un neandertaliano e a un denisoviano, con le rispettive componenti genetiche presenti in quantità quasi uguali. Questa scoperta epocale, pubblicata di recente su Nature, segna la prima evidenza certa dell’esistenza di un discendente diretto nato dall’incrocio fra queste due antiche specie, contribuendo ad approfondire la nostra comprensione delle interazioni fra gli ominini. “È incredibile riuscire a scoprire qualcosa di simile”, afferma David Reich, genetista di Harvard non coinvolto nello studio. “Sembrava improbabile che saremmo riusciti a trovare un individuo ibrido, la prima generazione nata dall’incrocio fra le due specie ”. Dunque, chi era questa bambina preistorica e come il ritrovamento del fossile a lei riconducibile può aiutare a comprendere la storia dell’uomo? Chi erano i denisoviani? I denisoviani - la cui esistenza è stata scoperta piuttosto di recente e che è ancora in gran parte avvolta nel mistero - aggiungono importanti elementi alla nostra comprensione dell’albero genealogico umano. Nel 2010, un team internazionale guidato da Svante Pääbo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, annunciò un'incredibile scoperta: le analisi del DNA condotte su un osso della falange di un mignolo e su un dente del giudizio rinvenuti nella grotta di Denisova, sui Monti Altaj, in Siberia, costituivano la prova dell’esistenza di un ominide precedentemente sconosciuto, l’Uomo di Denisova, che deve il suo nome al luogo del ritrovamento dei reperti. Ulteriori studi dimostrarono che denisoviani e Neandertal avevano un antenato comune, e che le loro linee evolutive si separarono circa 390mila anni fa. Probabilmente i primi vissero fino a circa 40mila anni fa, periodo nel quale anche i Neandertal stavano iniziando a scomparire. Ma sono ancora tanti gli interrogativi: che aspetto avevano? Quanti erano? E la loro presenza si limitava alla grotta di Denisova? Il problema è che i resti di denisoviani sono estremamente rari: tutte le conoscenze degli scienziati su questa specie derivano dal ritrovamento di pochi reperti: tre denti e la falange di un mignolo, tutti ritrovati nella medesima grotta e riconducibili a quattro uomini di Denisova. Da dove proviene l’osso? L'osso oggetto del nuovo studio è stato scoperto nel 2012 nella grotta di Denisova, come i reperti precedenti. Le nuove analisi suggeriscono che il frammento proviene dal braccio o dalla gamba di un individuo femmina che morì circa 90mila anni fa intorno all’età di 13 anni. A prima vista, non è immediato attribuire il frammento, lungo circa 24,7 millimetri e largo pressappoco 8,39 millimetri, a un ominine. Per tale ragione, si è deciso di condurre analisi più approfondite assieme a migliaia di altri frammenti di ossa ritrovati nella caverna, inclusi fossili appartenenti a leoni, orsi, iene e altri animali. Diversi anni dopo, Samantha Brown, archeologa dell’Università di Oxford, durante lo studio delle migliaia di frammenti, in particolare delle proteine presenti nel collagene delle ossa, ha scoperto che l’osso apparteneva a un ominine. Fu allora che lo studio del fossile passò nelle mani di Slon. Come sappiamo che l’ominine era un ibrido? Per prima cosa, Slon si è concentrata sullo studio del Dna mitocondriale contenuto nel frammento, ovvero il materiale genetico che si trasmette soltanto di madre in figlio. I risultati, pubblicati su Nature nel 2016, hanno confermato che l’osso apparteneva a un ominine con una madre neandertaliana. “Questa scoperta era già di per sé molto emozionante”, afferma Slon. “E lo è diventata ancora di più quando abbiamo iniziato a esaminare il Dna nucleare”. Quest’ultimo si eredita sia dalla madre sia dal padre, e ha consentito agli scienziati di risalire alla linea genealogica paterna dell’antico ominine. “È stato allora che ci siamo resi conto che c'era qualcosa di insolito in questo osso”, spiega. Per cominciare, la linea genealogica paterna corrispondeva chiaramente alla componente genetica dei denisoviani. Inoltre, in generale la bambina aveva una variabilità genetica sorprendentemente elevata; si tratta della misura nota come eterozigosi, che permette di capire quanto strettamente imparentati sono i genitori di un individuo. Se sono cugini, il figlio avrà un basso tasso di eterozigosi; se, invece, padre e madre appartengono a specie differenti, il tasso di eterozigosi sarà alto. E l’osso di cui di recente è stato analizzato il Dna “è altamente eterozigote”, dichiara Richard E. Green, biologo computazionale dell'Università della California a Santa Cruz, che non ha preso parte allo studio. “È proprio questa la prova schiacciante”. È possibile essere imparentati con questi antichi uomini? L’incrocio non era certo limitato a denisoviani e neandertaliani. Poco dopo che i Neandertal migrarono dall’Africa, è probabile che questi iniziarono a incrociarsi con gli esseri umani moderni. Oggi, circa il 2% del Dna della maggior parte degli europei e degli asiatici è neandertaliano. Tracce di Dna denisoviano comunque restano: infatti, il 4-6% dei genomi dei melanesiani è denisoviano. È difficile dire se si è un parente diretto di questo ominine ibrido. Tuttavia, osserva Reich, tutti coloro che hanno una discendenza denisoviana hanno anche una componente genetica neandertaliana. Era diffuso l’incrocio fra ominini? ll nuovo studio suggerisce che gli incroci, in passato, potrebbero essere stati molto più frequenti di quanto si pensasse. Gli scienziati, infatti, hanno sequenziato il Dna soltanto di alcuni di questi antichi ominini e hanno già individuato un discendente di prima generazione, afferma Slon, che definisce le probabilità di un tale ritrovamento “piuttosto sorprendenti”. È possibile che sia stato commesso un errore di campionamento, nota Green. Le grotte tendono a preservare bene le ossa, e forse costituiscono il luogo in cui gruppi diversi si incontravano. “Sono i locali per single dell’Eurasia nel Pleistocene”, scherza. Ma sembra che più a fondo si osserva, più incroci si individuano: il padre denisoviano di questa adolescente mostra anche tracce genetiche neandertaliane. E, nel 2015, i ricercatori hanno annunciato la scoperta di una mandibola umana rinvenuta in una grotta in Romania, mandibola appartenuta a un individuo che aveva antenati neandertaliani appena quattro-sei generazioni prima. Come spiega Reich, la nuova scoperta sta permettendo agli studiosi di conoscere più a fondo la storia di questo periodo della storia umana, nel quale l’accoppiamento avveniva normalmente anche fra uomini di specie diverse. “Queste informazioni migliorano la nostra comprensione del mondo. E tutto ciò è molto emozionante” Fonte National Geographic
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