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 Escursione alla Grotta del Diavolo o Grotta di Mezzogiorno del 13 marzo 2011 ::
 
  Sabato, 02 Aprile 2011 - 17:32 :: 97227 Letture

Il resoconto della escursione compiuta il 13 marzo u.s.  (continua)

E’ una nuvolosa giornata invernale, la pioggia incombe, cerchiamo di contattare uno del gruppo; manca, lo ritroveremo più avanti*. La collina è sempre verdeggiante, come le montagne circostanti e degrada verso una ampia pianura ricca di corsi d’acqua. Siamo in appennino centro meridionale, in lontananza si  scorgono delle chiazze bianche, stavolta di neve, non è strano. Gli inverni sono da noi piuttosto rigidi e non è difficile trovare sulla parte alta dei rilievi chiazze di neve sino a tarda primavera.

E’ il 13 marzo 2011 ed iniziamo a ripercorrere a ritroso nel tempo la nostra storia. Novelli Benjamin Button, ci inerpichiamo per la moderna S.P.331 in direzione Castello del Matese, attraversando in un colpo solo duemilacinquecento anni di storia. La moderna cittadina di Piedimonte Matese è sotto di noi, sulla parte alta il borgo medioevale. Sul Cila i poligonali dei Pentri rievocano il ricordo della Allifae sannitica. Attraversiamo l’abitato di Castello del Matese ed anche qui ai piedi della torre risalta la stratificazione sannitica (del basamento), medievale (della parte superiore e delle torri), indi gli abitati della nostra contemporaneità (articolo intero)

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Commenti
N° 2546 - giuseppe ha scritto::
Ago-’19
17

CIBI DALL'ANTICHITA' LA SANTOREGGIA La Santoreggia è una pianta aromatica (Satureja hortensis) con foglioline lunghe e strette, quasi aghiformi. Originaria dell'Asia, la pianta cresce bene in ambienti caldi ed è diffusa nel mondo, soprattutto nell'Europa meridio- nale. E' citata dai Greci e appare in molte ricette dell'Antica Roma, dove era apprezzata anche per le sue pro- prietà officinali. La Santoreggia può essere anche colti- vata in casa. Le foglie di santoreggia, sia fresche che essiccate, si abbinano a: carne, arrosti, stufati, spezzatini, ma anche al pollo o al tacchino al forno e alle salsicce alla griglia. L'aroma inconfondibile della satoreg- gia dona un tocco di sapore in più an- che alle verdure; perfetta con le pata- te, i funghi, come pure nelle verdure saltate in padella o nelle torte sala- te. La santoreggia, Sadorea in dialetto ne- mese, cresce anche spontaneamente vici- no alle fragole, la cui coltivazione è una delle specialità di Nemi. Proprio nella cittadina laziale se ne coglie in abbondanza e viene celebrata con una sagra che la vede protagonista di una zuppa di fagioli gialloni (detti verdoni a Roma), tradizionalmente cuci- nata con rimasugli e tessiture varie della pasta fatta in casa. Fonte RAI
N° 2551 - giuseppe ha scritto::
Ago-’19
21

IN ISLANDA IL FUNERALE AL GHIACCIAIO SPARITO Un funerale in Islanda per salutare un pezzo dell'ecosistema. Il 'defunto' aveva 700 anni. Era un ghiacciaio. Okjokull si è sciolto poco per volta, sembrerebbe per via del riscaldamento globale. Ricopriva il cono del vulcano islandese Ok. Una targa commemorativa è stata deposta ai piedi della montagna durante la ce- rimonia. Sulla placca una 'Lettera al futuro' scritta dall'autore islandese Andri Snaer Magnason, in cui si ricorda che "Ok è il primo a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni tutti i principali ghiacciai fa- ranno la stessa fine". Fonte RAI
N° 2564 - giuseppe ha scritto::
Ago-’19
31

Scoperto in Etiopia il più antico cranio di Australopiteco, l'antenato di Lucy Un team di ricerca internazionale, comprendente anche due studiosi dell’Università di Bologna, ha rinvenuto il primo cranio quasi completo del più antico rappresentante del genere Australopithecus, A. anamensis, risalente a circa 3,8 milioni di anni fa. Una scoperta fortuita in un recinto per le capre, in Etiopia, ha rivelato un fossile unico nel suo genere: il cranio quasi completo di un antenato dell’uomo, morto circa 3,8 milioni di anni fa. Il nuovo esemplare - descritto di recente su Nature - [la scoperta è illustrata in due articoli: il primo dedicato alla ricostruzione e alla caratterizzazione morfologica del cranio, il secondo all’analisi geologica del contesto] rappresenta il cranio più antico di australopiteco mai scoperto, un gruppo cardine di primi antenati umani vissuto fra 1,5 e 4milioni di anni fa. Si tratta, inoltre, del primo cranio di Australopithecus anamensis - uno dei primi membri del genere degli australopitechi - rinvenuto finora. “La scoperta ci riporta indietro di circa 3,8 milioni di anni, mostrandoci come apparivano al tempo i nostri antenati”, afferma Yohannes Haile-Selassie, paleoantropologo del Cleveland Museum of Natural History, responsabile dello studio. “È un momento davvero emozionante”. La scoperta potrebbe colmare importanti lacune nello studio dell'evoluzione umana. Fossili di ominini - gli antenati dell’uomo - così antichi sono estremamente rari e spesso si limitano solo a frammenti di ossa. Al contrario, il cranio scoperto di recente è quasi completo, cosa che probabilmente permetterà di svelare molti aspetti della vita e dell’evoluzione dei nostri più antichi antenati. “È il cranio che aspettavamo”, afferma Carol Ward, paleoantropologa dell’Università del Missouri non coinvolta nello studio. “I crani di ominini sono tesori davvero molto rari, e trovarne uno così antico e completo è una scoperta senza precedenti”. Tremare dall'emozione Le radici dell’ingarbugliato albero genealogico umano riconducono a un gruppo di antichi primati fra cui Ardipithecus e Sahelanthropus, che vivevano in Africa più di quattro milioni di anni fa. La comparsa del genere Homo risale invece a 3 milioni di anni fa, dando il via a una storia evolutiva nella quale i nostri antenati, fra cui Australopithecus afarensis, giocarono un ruolo chiave. Questo antico ominine e i suoi discendenti - noti grazie alla scoperta di fossili appartenenti ad un individuo soprannominato dagli scienziati “Lucy” - erano dotati di un cervello più grande rispetto ai primati precedenti, erano in grado di camminare su due piedi, e avevano mascelle forti che permettevano loro di assumere una grande varietà di cibi. Tale flessibilità sarebbe poi tornata utile: 3,5 milioni di anni fa, nel periodo di massimo splendore per A. afarensis, i cambiamenti climatici stavano rendendo l'Africa orientale più fredda e secca, conducendo alla riduzione dei boschi nei quali vivevano i nostri antenati. Nel tempo, grazie all’evoluzione, A. afarensis e i suoi discendenti impararono ad adattarsi a molti tipi di ambienti. Ma A. afarensis non è stata la prima specie ad avere queste caratteristiche. Nel 1995, gli scienziati descrissero A. anamensis, un australopiteco ancora più antico e il probabile antenato di A. afarensis. La specie ha appassionato gli scienziati, poiché aveva le caratteristiche principali di Lucy e degli australopitechi successivi. Ma A. anamensis rimase ostinatamente fuori dalle scene. Gli unici resti riconducibili a questa specie consistevano in frammenti di denti e di mascella. “Nonostante il ritrovamento di molti crani di A. afarensis, non conoscevamo ancora il volto dei primi australopitechi”, dichiara Zeray Alemseged, paleoantropologo dell’Università di Chicago, non coinvolto nello studio. Questo momento sarebbe arrivato in seguito al 10 febbraio 2016, grazie alla fortuna incredibile di un pastore, Ali Bereino. In quel periodo era in corso una campagna di scavo co-diretta da Haile-Selassie nel sito di Woranso-Mille, nella regione degli Afar, in Etiopia, situata a quasi 5 chilometri da Miro Dora, area in cui Bereino stava pascolando il gregge. Secondo quanto racconta Haile-Selassie, Bereino per anni aveva tentato di entrare a far parte del suo team di ricerca. In passato aveva sostenuto di aver ritrovato dei fossili, ma senza che il ricercatore ne avesse trovato traccia. Il 10 febbraio 2016, mentre scavava un’area per realizzare un recinto temporaneo per le capre, Bereino notò un osso che sporgeva sulla superficie della roccia. L’uomo si mise allora in contatto con un funzionario del governo locale, che capì che si trattava di qualcosa che Haile-Selassie avrebbe trovato interessante. Quando il funzionario chiamò Haile-Selassie, il ricercatore rimase scettico, rispondendo che Bereino avrebbe dovuto segnare il luogo di ritrovamento del fossile e raggiungerlo. Quando Bereino e il funzionario arrivarono, Haile-Selassie si rese presto conto dell'entità del ritrovamento: Bereino aveva trovato una mascella superiore appartenente a un antico ominine. Haile-Selassie interruppe qualsiasi attività in corso e camminò per circa 4 chilometri, fino al recinto realizzato da Bereino. A pochi passi da dove il pastore aveva trovato la mascella, Haile-Selassie scoprì presto gran parte del cranio. “Ho iniziato a saltellare, senza neanche averlo raccolto”, racconta Haile-Selassie. “Il funzionario mi ha guardato e poi ha commentato, rivolgendosi ai suoi amici del posto: ‘Che gli sta succedendo, è andato fuori di testa?’”. Quando si è accorto che la mascella e il cranio aderivano, lo studioso è ritornato nel sito, tenendoli avvolti a una sciarpa e una bandana. “Non l’ho mai visto così felice in tutta la mia vita”, racconta Stephanie Melillo, paleontologa del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, fra gli autori dello studio e fra i membri della spedizione, “Non riusciva nemmeno a parlare e le sue mani tremavano”. Il primo cranio del più antico australopiteco Il giorno successivo, Haile-Selassie, Melillo e il loro team si sono recati a Miro Dora. Determinati a setacciare anche il più piccolo frammento di osso, hanno esplorato un’area di cinque metri per lato. Ma essere accurati vuol dire sporcarsi le mani. L’area comprendeva un cumulo maleodorante: sterco di capra accumulato per anni, tanto da creare uno strato spesso 30 centimetri. Ma ne è valsa la pena. Nei giorni successivi, i ricercatori hanno trovato gran parte del cranio, inclusi uno zigomo sotto il mucchio di letame. Tornato in laboratorio, il team di Haile-Selassie ha scoperto che la mascella e i denti assomigliavano molto a quelli di A. anamensis. Ma identificare il cranio non bastava a risolvere l’enigma: quando e dove A. anamensis visse e morì? Per scoprirlo, un team di geologi guidato da Beverly Saylor ha esaminato in dettaglio l’area di Woranso-Mille. In particolare, gli studiosi erano alla ricerca di frammenti di tufo, strati di sedimenti creati da antiche ceneri vulcaniche. Alcuni minerali presenti nel tufo contengono tracce di un agente radioattivo, il potassio-40, il cui decadimento prosegue dal momento in cui i minerali si sono formati. Contando i prodotti in decadimento, il team di Saylor è stato in gradi di affermare quando i cristalli e il tufo si sono formati. Dunque, per datare il cranio, il gruppo di ricerca aveva bisogno di trovare due frammenti di tufo che circondavano i sedimenti fossili. Nel secondo studio pubblicato su Nature, il team di Saylor afferma che si è formato del tufo sopra il cranio fra 3,76 e 3,77 milioni di anni fa, e sotto il cranio poco più di 3,8 milioni di anni fa. Inoltre, i ricercatori hanno ricostruito l'ambiente in cui il cranio era stato sepolto: si trattava di un delta di un fiume o una riva di un lago, circondati da piante e alberi. “Probabilmente si trovava lungo il fiume o lungo le rive di un lago. È morto lì, e poi è stato trasportato giù e sepolto nel delta”, spiega Saylor, esperto di stratigrafia della Case Western Reserve University, in Ohio. Le diverse strade dell’evoluzione Per diversi motivi, il viso si adatta perfettamente alle aspettative dei ricercatori. Come altri australopitechi, la faccia di A. anamensis era allungata, e non era uniforme come il viso degli esseri umani moderni. Le dimensioni dei denti e della mascella erano coerenti con le conoscenze degli studiosi: gli australopitechi successivi avevano visi larghi per ospitare le ossa e i muscoli di cui avevano bisogno per masticare cibi duri. Se da un lato A. anamensis aveva una faccia più robusta rispetto ai primati precedenti, non era così grande come quelli dei suoi cugini successivi. Ma se Haile-Selassie e Melillo avessero ragione, il cranio potrebbe sollevare ulteriori domande su come si sia evoluto A. afarensis. Una caratteristica chiave nei crani dei primi ominini è quanto il cranio sia compresso dietro le orbite. Gli ominidi più antichi e più primitivi tendono ad avere crani più piccoli rispetto a quelli più recenti. Il cranio di A. anamensis è compresso in modo considerevole dietro le orbite. Questa caratteristica potrebbe chiarire l'identità del “frontale del Belohdeli”, un frammento di cranio di australopiteco risalente a 3,9 milioni di anni fa, rinvenuto nel 1981. Quando questo fu scoperto, alcuni ricercatori pensarono appartenesse ad A. afarensis, ma non ne avevano la certezza. La situazione si fece più complessa quando fu scoperto A. anamensis: i ricercatori non sono stati in grado di confermare se l'osso appartenesse ad A. anamensis, poiché non erano stati rinvenuti ossi frontali chiaramente riconducibili a quella specie. “Questo fossile è stato sospeso in un ‘limbo tassonomico’ per decenni”, afferma Melillo. Adesso che hanno il nuovo cranio come riferimento, Melillo e Haile-Selassie affermano che il frontale del Belohdeli non appartiene ad A. anamensis, ma a A. afarensis. Poiché il frontale di Belohdeli è più antico del nuovo cranio, la scoperta suggerisce che A. anamensis e A. afarensis vissero nello stesso periodo, fra 3,8 e 3,9 milioni di anni fa. Si tratta di una svolta radicale per l’evoluzione: gli scienziati avevano ritenuto finora che le generazioni successive ad A. anamensis si fossero evolute in A. afarensis, seguendo un processo lineare che avrebbe precluso qualsiasi sovrapposizione temporale. Invece, i ricercatori sostengono adesso che 3,9 milioni di anni fa, un gruppo di A. anamensis si sia evoluto in modo indipendente dal resto, evolvendo in A. afarensis. Alcuni scienziati affermano che tale ipotesi potrà essere confermata solo con la scoperta di ulteriori fossili. “Per essere certi occorrono campioni di dimensioni considerevoli, riconducibili a diversi periodi di tempo”, afferma William Kimbel, paleoantropologia dell’Institute of Human Origins dell’Arizona State University, non coinvolto nello studio. “Non è possibile avanzare affermazioni certe sull’evoluzione basandosi solo su due campioni” Il team di ricerca afferma di voler proseguire con studi ulteriori, che permetteranno di fornire informazioni più approfondite sulle differenze nella abitudini alimentari fra A. anamensis e A. afarensis. Ma persino adesso, gli scienziati che si dedicano allo studio attento del fossile devono fare i conti con un nuovo tesoro: un fossile che permette di guardare indietro nel tempo. “È meraviglioso”, conclude Melillo. “Essere in grado di osservare il volto di questo ominine con cui avevo già familiarità, e aver formulato così tante ipotesi è stato davvero straordinario”. Fonte: NATIONALGEOGRAPHIC ITALIA
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